sabato, agosto 05, 2006

GLI ACCORDI DI SPONSORIZZAZIONE

di Nicola Ferrante *

Sommario: I) Evoluzione normativa in materia di beni culturali; II) La sponsorizzazione come strumento di partneriato pubblico-privato; III) La sponsorizzazione in ambito culturale; IV) La sponsorizzazione nella disciplina degli appalti di lavori su beni del patrimonio culturale e la scelta del contraente privato; V ) La sponsorizzazione nel nuovo Codice dei beni Culturali – D. lgs 42/2004

I) Evoluzione normativa in materia di beni culturali
I beni culturali sono stati oggetto di numerosi interventi legislativi, che testimoniano un’accentuata sensibilità per i problemi afferenti alla loro conservazione, restauro, nonché alla valorizzazione, per consentirne la loro più ampia fruizione pubblica.
La prima disciplina organica della legislazione in materia di beni culturali, che realizza il coordinamento di tutte le disposizioni legislative preesistenti è contenuta nel Decreto legislativo 27 dicembre 1999 n. 490 (T.U. Beni Culturali).
Il testo unico è rimasto in vigore fino al 2004, allorché è stato approvato il nuovo Codice dei Beni Culturali (Decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42), ed è stato istituito un sistema autonomo di affidamenti di lavori nel settore dei beni culturali con il Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 30.
La predetta normativa ha dato una definizione di beni culturali.
“1. Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.
2. Sono inoltre beni culturali: a) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico; b) gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico; c) le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente e istituto pubblico.
3. Sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall'articolo 13: a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1; b) gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante; c) le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale; d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose; e) le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, rivestono come complesso un eccezionale interesse artistico o storico(art.10, co.1, 2, 3).
Alla particolarità dell’oggetto, ha corrisposto una disciplina speciale in tema di affidamenti di lavori sui beni culturali quand’essi siano di proprietà di Enti pubblici.
In un primo momento, la scelta del legislatore estrinsecatasi (legge 18 novembre 1998, n. 415; c.d. Merloni ter) tendeva alla omologazione dei contratti aventi ad oggetto interventi su beni del patrimonio culturale all’interno della più generale disciplina del settore dei lavori pubblici (legge 11 febbraio 1994 n. 109; c.d. Merloni ).
Con l’approvazione dell’ultima riforma della legge Merloni (legge 1.8.2002, n. 166; c.d. Merloni quater), si è passati all’individuazione di una disciplina fortemente derogatoria riferita alle sole attività di restauro e manutenzione di beni culturali quali mobili e superfici decorate (art. 7 comma 1, lett. a).
Il D. lgs n. 30/2004 ha mutato ancora una volta la prospettiva disciplinare della materia, intesa nella sua portata complessiva e quindi comprendente sia beni immobili, sia beni mobili e superfici decorate, con rinvio all’ordinamento generale dei lavori pubblici solo per quanto non disciplinato dalle norme derogatorie speciali di cui al citato decreto.
Sotto questo profilo, il D. lgs 30/2004 si pone come primo testo normativo disciplinante ogni intervento materiale su beni del patrimonio culturale, come primo e proprio corpus normativo autonomo. Pur quale disciplina speciale, il legislatore ha comunque ricondotto gli interventi di restauro e manutenzione dei beni culturali, nonché l’esecuzione di scavi archeologici nell’alveo dei lavori pubblici.
Si può quindi affermare che i lavori sui beni culturali siano oggi disciplinati – seppur all’interno della più generale disciplina dei lavori pubblici (Legge Merloni, D.P.R. n. 554/1999, D.P.R. n. 34/2000; D.M. n. 145/2002) quale settore speciale a tutela di un “bene speciale”.

II) La sponsorizzazione come strumento di partneriato pubblico-privato
Accanto alla disciplina sui lavori sui beni culturali, va segnalata la disciplina sulla sponsorizzazione.
La sponsorizzazione delle attività amministrative, oltre che essere un fenomeno del tutto recente, è soprattutto istituto giuridico dagli incerti confini, non essendo facile ricondurre le esperienze ad un modello legale preciso e nell’ambito di un contesto normativo determinato.
Per la prima compiuta definizione di sponsorizzazione bisogna richiamare la legge 6 agosto 1990 n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato). Quest’ultima definisce la sponsorizzazione come “ogni contributo in beni o servizi, denaro o ogni altra utilità proveniente da terzi allo scopo di promuovere il loro nome, marchio o attività, ovvero conseguire una proiezione positiva di ritorno e quindi un beneficio di immagine”.
La sponsorizzazione - funzionale a realizzare forme di collaborazione pubblico-privato in termini di maggiori efficienza gestionale della macchina amministrativa e fini lucrativi privati – non ha avuto un successo immediato; infatti, solo con la legge finanziaria per il 1998 il legislatore ha per la prima volta evidenziato un favor esplicito verso l’applicazione della sponsorizzazione da parte degli enti pubblici.
L’art. 43 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, infatti, ha previsto che “al fine di favorire l’innovazione dell’organizzazione amministrativa e di realizzare maggiori economie, nonché una migliore qualità dei servizi prestati, le pubbliche amministrazioni possono stipulare contratti di sponsorizzazione e accordi di collaborazione con soggetti privati e associazioni, senza fini di lucro, costituite con atto notarile”.
La norma è stata ripresa anche nell’art. 119 del d. lgs 267/2000 (T.U. enti locali), a tenore del quale “al fine di favorire una migliore qualità dei servizi prestati i comuni, le province e gli enti locali indicati nel presente testo unico, possono stipulare contratti di sponsorizzazione ed accordi di collaborazione, nonché convenzioni con soggetti pubblici o privati diretti a fornire consulenze o servizi aggiuntivi”.
Le due norme – la prima indirizzata agli Enti statali (l. n. 449/1997) e l’altra per gli Enti locali – hanno stabilizzato l’istituto nel nostro ordinamento determinando il pieno riconoscimento della sponsorizzazione come legittimo e generale strumento utilizzabile dalla p.a. per lo svolgimento di iniziative pubbliche.
In questo senso, anche la più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato sez. V, 25 marzo 2002, n. 1693, ha preso atto del progressivo consolidarsi di tale aspetto e del sostrato normativo formatosi affermando che “la normazione più recente tende a favorire ogni possibilità per gli enti pubblici di realizzare maggiori economie con la partecipazione – non disinteressata - dei privati: si pongono in questo alveo i precetti contenuti nell’art. 37-bis della l. 11 febbraio 1994..., nell’art. 43 della legge 27 dicembre 1997 n. 449 (che istituzionalizza la possibilità di stipulare contratti di sponsorizzazione e accordi di collaborazione, nonché convenzioni con i soggetti pubblici o privati..), nonché nell’art. 119 del d. lgs 18 agosto 2000, n. 267 (che recepisce per le autonomie locali il principio già stabilito nell’art. 43 della l. 449 del 1997)”.

III) La sponsorizzazione in ambito culturale
Il quadro normativo concernente la sponsorizzazione si connette e si interseca con quello afferente la disciplina dei beni culturali; col decreto n. 30/2004 viene, infatti, disciplinata la c.d.“sponsorizzazione culturale”.
Non è raro, infatti, che iniziative di restauro su beni culturali siano realizzate con il contributo finanziario di privati, i quali si accollano l’intero costo degli interventi programmati.
Per diversi anni tale fenomeno è avvenuto al di fuori di una precisa cornice normativa di riferimento; solo di recente si è infatti ammesso l’utilizzo anche rispetto ad interventi aventi ad oggetto un bene culturale, com’è avvenuto appunto con la previsione dell’art. 2 del D. lgs 30/2004.
Il citato articolo 2 , prevede che “per i lavori indicati all’articolo 1, commi 1 e 2, (concernenti i beni mobili ed immobili e gli interventi sugli elementi architettonici e sulle superfici decorate di beni del patrimonio culturale) realizzati mediante contratti di sponsorizzazione a cura ed a spese dello sponsor, nel rispetto dei principi e dei limiti comunitari in materia, non trovano applicazione le disposizioni nazionali e regionali in materia di appalti di lavori pubblici, ad eccezione di quelle sulla qualificazione dei progettisti e dei soggetti esecutori. Nei casi previsti dal comma 1, l’amministrazione preposta alla tutela del bene impartisce le opportune prescrizioni in ordine alla progettazione, all’esecuzione delle opere ed alla direzione dei lavori”.
Il decreto, dunque, sottrae alla disciplina in esso contenuta gli interventi realizzati sulla base di contratti di sponsorizzazione ed è proprio su quest’ultima figura contrattuale che si vuole focalizzare l’attenzione in questa sede.
Oggi l’art. 120 del Codice dei beni culturali (D. lgs 42/2004) stabilisce che “è sponsorizzazione di beni culturali ogni forma di contributo in beni o servizi da parte di soggetti privati alla progettazione o all’attuazione di iniziative del Ministero, delle Regioni, e degli altri enti pubblici territoriali, ovvero di soggetti privati, nel campo della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l’immagine, l’attività o il prodotto dell’attività dei soggetti medesimi.
La promozione di cui al comma 1 avviene attraverso l’associazione del nome, del marchio, dell’immagine, dell’attività o del prodotto all’iniziativa oggetto del contributo, in forme compatibili con il carattere artistico o storico, l’aspetto o il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare, da stabilirsi con il contratto di sponsorizzazione.
Con il contratto di sponsorizzazione sono altresì definite le modalità di erogazione del contributo nonché le forme del controllo da parte del soggetto erogante, sulla realizzazione dell’iniziativa cui il contributo si riferisce”.
Dalle disposizioni citate è possibile rilevare il favor del legislatore per la stipula di contratti di sponsorizzazione da parte dell’ente pubblico nella veste di soggetto sponsorizzato, nella prospettiva di conseguire economie di spesa nella realizzazione di iniziative di pubblico interesse e nel quadro del processo di innovazione e miglioramento della qualità dei servizi già prestati dall’ente.
Tuttavia, è da notare come le disposizioni citate, se legittimano l’uso della sponsorizzazione da parte della p.a. , omettono la definizione dei “caratteri” del contratto e dei presupposti di legittimità delle iniziative di sponsorizzazione per la p.a., nonché dell’iter procedimentale che gli enti pubblici devono seguire per addivenire alla sua stipula. La lacuna normativa è stata colmata dall’interpretazione della giurisprudenza e della dottrina.
A) Il contratto
Il contratto di sponsorizzazione è definito quale contratto finalizzato alla diffusione di un segno distintivo (il più delle volte un marchio) o la denominazione di un prodotto o di un’impresa, attraverso l’utilizzazione di un evento o di una serie di eventi.
Si tratta, quindi, di un contratto con il quale lo sponsor (vale a dire il soggetto sponsorizzante che si obbliga a metter a disposizione una determinata prestazione in beni o denaro nella previsione che il pubblico, partecipando emotivamente, associ all’iniziativa la figura dello sponsor ) ottiene l’utilità di un rafforzamento della propria immagine nei confronti del pubblico, nella prospettiva di una maggiore penetrazione nel suo segmento di mercato.
Al contempo lo sponsee (soggetto sponsorizzato, solitamente la P.A., che si obbliga a fornire, nell’ambito delle iniziative destinate al pubblico, prestazioni accessorie alla veicolazione del marchio, del logo o di altri messaggi del soggetto sponsorizzante) consegue un corrispettivo oppure un risparmio di spesa nella realizzazione dello stesso evento rispetto al quale si attua poi il collegamento con l’immagine dello sponsor.
Quanto detto è conforme a quanto affermato dalla giurisprudenza che in una delle poche pronunce sul punto ha statuito che “con il contratto di sponsorizzazione un soggetto assume, normalmente verso corrispettivo, l’obbligo di associare a proprie attività il nome o il segno distintivo di altro soggetto, detto sponsor o sponsorizzatore”(Cons. di Stato, sez. VI, sent. n. 6073/2001).
B) Ruolo della pubblica amministrazione
Quanto il contratto è stipulato dalla p.a. è necessario, secondo la giurisprudenza, che le iniziative siano: “a) collegate al perseguimento di interessi pubblici; b) prive di motivi di conflitto di interesse tra attività pubblica e privata; c) foriere di risparmi di spesa rispetto agli stanziamenti necessari”. (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 6073/2001).
C) Oggetto del contratto
Con riferimento, invece, all’oggetto del contratto il Collegio ha rilevato che “la prestazione dello sponsor è solitamente determinata o determinabile e consistente nel pagamento di un corrispettivo in denaro. Nella prassi, gli obblighi dello sponsee risultano piuttosto generici, senza che però ciò comporti l’invalidità del contratto in quanto dal contesto contrattuale è in genere determinabile la prestazione richiesta, che potrà essere comunque meglio specificata durante l’esecuzione del contratto”.
La sentenza più volete citata n. 6073/2001 della VI sez. del Consiglio di Stato, peraltro, ha avuto il merito di evidenziare come oggi si stia diluendo il principio di “tipicità” degli atti amministrativi, liberando il contraente pubblico dalla vana ricerca di uno schema di riferimento universalmente valido, a tutto vantaggio di un crescente riconoscimento anche al soggetto pubblico della piena libertà di contrattare ai sensi dell’art. 1322 del codice civile, confermando anche per la P.A. la possibilità di concludere contratti atipici perché diretti alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela.

IV) La sponsorizzazione negli appalti di lavori su beni del patrimonio culturale e la scelta del contraente da parte della p.a.
Così com’è configurata dall’art. 2 del D. lgs n. 30/2004 la sponsorizzazione di lavori aventi ad oggetto beni culturali costituisce un negozio gratuito modale, nel quale il “modus”, vale a dire l’onere, è rappresentato dal consentire allo sponsee la divulgazione dell’iniziativa presso il pubblico e l’associazione tra l’immagine dello sponsor all’evento organizzato (c.d. sponsorizzazione interna).
Il contratto di sponsorizzazione, quindi, secondo le linee indicate, resta fuori dall’ambito della disciplina comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici in quanto non è catalogabile come un contratto passivo, poiché non determina un costo per l’amministrazione, in quanto dalla stipula dei contratti de quo consegue un risparmio di spesa per la stessa.
Peraltro, il contratto di sponsorizzazione, si distingue dal contratto di donazione, in quanto il ritorno pubblicitario, se non può costituire di certo una controprestazione, tanto da qualificare il contratto come oneroso, ne esclude però il carattere liberale.
Trattandosi di negozio gratuito, esso prescinde dall’applicazione della normativa comunitaria e nazionale in materia di appalti pubblici, la quale presuppone invece l’onerosità dell’accordo negoziale.
L’art. 2 del d. lgs n. 30/2004 (che ha riprodotto l’art. 2, comma 6 della legge 109/1994 e ss. modificazioni) prevede, infatti, che per i lavori realizzati mediante contratti di sponsorizzazione a cura ed a spese dello sponsor, nel rispetto dei principi e dei limiti comunitari in materia, non trovano applicazione le disposizioni nazionali e regionali in materia di appalti di lavori pubblici, ad eccezione di quelle sulla qualificazione dei progettisti e dei soggetti esecutori.
Dal dettato normativo dell’art. 2 emergono due diversi ordini di problemi concernenti rispettivamente la scelta del contraente privato e la ripartizione delle competenze e delle corrispondenti responsabilità tra lo sponsor e lo sponsee.
Con riferimento al problema della scelta del partner privato, in assenza di minime statuizioni giurisprudenziali sul punto, la ricostruzione del tema può condursi esclusivamente con riferimento alle posizioni della dottrina più autorevole e soprattutto della Autorità di vigilanza sui LL.PP.
L’Autorità – con determinazione n. 24/20001 – ha puntualizzato come il contratto di sponsorizzazione, da stipularsi quale contratto accessorio rispetto a quello di affidamento dei lavori di restauro, non dovesse essere soggetto alla disciplina dei contratti pubblici per quanto attiene alla scelta del contraente. In altre parole, l’Autorità ha ammesso la possibilità di scegliere la controparte della stazione appaltante utilizzando procedure di gara informali e semplificate che fuoriescono dal novero dei criteri di scelta incentrati sull’evidenza pubblica. L’orientamento descritto si fonda su due ordini di ragioni.
Il primo assunto è di tipo qualitativo, ossia, potendo il corrispettivo del contratto essere rappresentato anche da un contributo in beni o in servizi o altre utilità economicamente rilevanti, la sponsorizzazione potrebbe essere assoggettata alla disciplina più idonea sulla base della prestazione prevalente che lo sponsor si impegna ad eseguire.
Il secondo e principale fondamento dell’inapplicabilità della disciplina dell’evidenza pubblica risiede nella natura non onerosa del contratto de quo. Sostiene, infatti, l’autorità che “il contratto di sponsorizzazione non rappresenta per l’amministrazione un contratto passivo ovvero non comportante oneri di tipo finanziario ma, al contrario, è suscettibile di produrre un vantaggio economico e patrimoniale direttamente quantificabile….mediante un risparmio di spesa”.
La conseguenza più immediata risiede, quindi, nell’inapplicabilità della disciplina comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici, specie per quanto attiene alle procedure di scelta del contraente privato.
L’Autorità non perviene a diversa opinione anche ove le prestazioni a carico dello sponsor e la controprestazione pubblica non siano facilmente riconducibili ad un criterio meramente patrimoniale; anche in questa seconda ipotesi (sponsorizzazione cd. Interna), infatti, l’autorità ha chiarito come le disposizioni sugli appalti non siano comunque applicabili perché si è in presenza di un contratto gratuito, sia pure caratterizzato da un interesse patrimoniale dato dalla controprestazione del ritorno pubblicitario.
Il descritto orientamento ha trovato successiva specificazione nel successivo parere dell’Autorità del 31 gennaio 2002 reso all’ARAN (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni). All’interno dello stesso l’Autorità, pur riaffermando l’inapplicabilità del complesso normativo sugli appalti pubblici, ha mitigato l’originale posizione di chiusura rispetto alla obbligatoria osservanza delle norme che presiedono al rispetto dei canoni dell’evidenza pubblica per affermare “la necessità dell’applicazione di procedure che garantiscano comunque il sostanziale rispetto dei principi fondamentali di efficacia, efficienza e trasparenza dell’azione amministrativa”.
Ne deriva, quindi, che nell’ambito delle procedure di scelta dello sponsor privato deve essere privilegiato l’utilizzo di criteri qualitativi che consentono di valutare, in termini il più possibile obiettivi, sia la funzionalità dell’offerta, sia il valore che la stessa assume nei confronti del preminente interesse pubblico che il contratto di sponsorizzazione intende soddisfare.
Altra interessante questione, nell’ambito delle sponsorizzazioni di lavori inerenti beni culturali è, come accennato, quella concernente la suddivisione delle competenze e responsabilità tra lo sponsor e lo sponsee.
La sponsorizzazione, infatti, a differenza del trust non spoglia la p.a. dalla gestione del bene e dal conseguente potere/obbligo di tutela dello stesso; pertanto, se è ammissibile, in linea generale, che la scelta del Direttore dei Lavori sia effettuata dall’ “impresa sponsee”, è anche comprensibile che il Responsabile del Procedimento (ossia del soggetto responsabile dell’istruttoria e di ogni altro adempimento o provvedimento connesso all’operazione) sia scelto all’interno della stessa Amministrazione.
Infatti, nei casi in cui sia ravvisabile una gestione negligente e pregiudizievole del lavoro sponsorizzato, l’amministrazione potrà sempre agire in via di autotutela nel revocare l’affidamento, attesa la particolare pregnanza dell’interesse pubblico costituito anche dal prestigio e dalla buona immagine della p.a.
In ogni caso, sarà sempre opportuna l’inserzione nel contratto di sponsorizzazione di una specifica clausola che garantisca all’amministrazione la facoltà di recedere dal contratto, qualora si ravvisi un grave pregiudizio dell’Ente.

V ) La sponsorizzazione nella gestione dei beni Culturali
L’art. 120 del nuovo “Codice dei Beni culturali”ha previsto la possibilità di attuare forme di gestione di beni culturali, che comportino il coinvolgimento di soggetti privati, anche nell’ottica di tutela del patrimonio culturale.
Onde evitare possibili confusioni, l'art. 120 circoscrive il concetto di sponsorizzazione di beni culturali (c.d. sponsorizzazione propria), riferendolo solo ad "ogni forma di contributo in beni o servizi da parte di soggetti privati alla progettazione o all'attuazione di iniziative del ministero, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, ovvero di soggetti privati, nel campo della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l'immagine, l'attività o il prodotto dell'attività dei soggetti medesimi" (co. 1), e precisando, tra l'altro, che tale promozione avvenga "attraverso l'associazione del nome, del marchio, dell'immagine, dell'attività o del prodotto all'iniziativa oggetto del contributo" (co. 2).
“Con il contratto di sponsorizzazione sono altresì definite le modalità di erogazione del contributo, nonché, le forme di controllo, da parte del soggetto erogante, sulla realizzazione dell’iniziativa cui il contributo si riferisce” (co. 3).
Ai sensi dell'art. 120, quindi, il contributo del privato deve giustificarsi alla luce della sua strumentalità alla progettazione o realizzazione di una iniziativa istituzionale di tutela o di valorizzazione riguardante il bene in questione.
L'articolo disciplina esclusivamente le ipotesi di sponsorizzazione delle iniziative riguardanti i beni ricompresi nel patrimonio culturale, in particolare, finalizzate a favorirne la tutela o la valorizzazione.
La norma, inoltre, definisce anche i contenuti del contratto, che riveste un ruolo regolativo in chiave di protezione del bene culturale coinvolto dalla iniziativa sponsorizzata; l'obiettivo promozionale perseguito dallo sponsor privato deve conseguirsi secondo forme compatibili con il carattere artistico o storico, l'aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare, e nelle forme definite dal contratto di sponsorizzazione.
In ogni caso, tenendo conto della disciplina in materia di “interventi vietati” (art. 20) e “interventi soggetti ad autorizzazione” (art. 21) e, di quella contenuta nell'art. 49 nel caso in cui la promozione preveda anche l'uso di “manifesti o cartelloni pubblicitari”.
Ancora: spetta al contratto in questione non solo specificare il quantum del contributo, ma anche le modalità di erogazione dello stesso e, perfino, le forme attraverso le quali lo sponsor privato può esercitare un controllo sulla realizzazione dell'iniziativa cui il contributo si riferisce.
In tale ottica si pone il reporting gestionale, il quale è funzionale al controllo e alla valutazione dell’iniziativa, nonché, all’adempimento delle parti alle reciproche obbligazioni.
Il report deve essere sintetico e contenere i dati salienti, anche aggregati, dell’operazione indicando l’oggetto della sponsorizzazione, lo stato di sviluppo in cui si trova, l’efficienza, il livello di adempimento delle specifiche obbligazioni delle parti, garantendo così certezza e trasparenza all’iniziativa.
* Nicola Ferrante lavora presso il Dipartimento di Diritto Amministrativo dello Studio "Camozzi & Bonissoni" di Milano.

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