venerdì, agosto 04, 2006

Gli affidamenti “in House”

il rapporto tra l’Amministrazione e la Società affidataria
nella logica del “Controllo analogo”

di Nicola Ferrante*

1. Breve introduzione e definizione dell’istituto; 2. Requisiti degli affidamenti in House; 3. Il requisito del Controllo analogo: delegazione interorganica e poteri dell’amministrazione tra giurisprudenza comunitaria e nazionale.

1. Col termine affidamenti in house (o in house providing) viene indicata l’ipotesi in cui il committente pubblico, derogando al principio di carattere generale dell’evidenza pubblica, in luogo di procedere all’affidamento all’esterno di determinate prestazioni, provvede in proprio, e cioè all’interno, all’esecuzione delle stesse attribuendo l’appalto o il servizio di cui trattatasi ad altra entità giuridica di diritto pubblico mediante il sistema dell’affidamento diretto c.d. in house providing, ossia senza gara. Negli affidamenti in house non vi è, quindi, il coinvolgimento degli operatori economici nell’esercizio dell’attività della Pubblica Amministrazione, per cui le regole sulla concorrenza, applicabili agli appalti pubblici e agli affidamenti dei pubblici servizi a terzi, non vengono in rilievo. Si tratta di un modello organizzativo in cui la p.a. provvede da sé al perseguimento degli scopi pubblici quale manifestazione del potere di auto-organizzazione e del più generale principio comunitario di autonomia istituzionale[1].
La scelta tra il sistema dell’affidamento della prestazione mediante gara pubblica e l’opposto modello dell’affidamento in house è preceduto dalla comparazione degli obiettivi pubblici che si intendono perseguire e delle modalità realizzative avuto riguardo ai tempi necessari, alle risorse umane e finanziarie da impiegare ed al livello qualitativo delle prestazioni in base ai principi di economicità ed massimizzazione dell’utilità per l’Amministrazione (sistema anglosassone del c.d. “Best Value”).
2. Il sistema degli affidamenti in house – in quanto derogatorio rispetto al metodo di scelta del contraente mediante gara pubblica - si pone, tuttavia, in contrasto con i principi generali stabiliti dal Trattato Istitutivo delle Comunità Europee a tutela della concorrenza e del mercato e a presidio della garanzia di massima trasparenza in materia di affidamento e stipulazione di contratti pubblici, nonché con i principi e le norme dell’ordinamento nazionale in tema di imparzialità, trasparenza, efficienza, e efficacia dell’azione amministrativa. Per queste ragioni dapprima la Corte di Giustizia e successivamente il legislatore nazionale hanno definito i confini all’interno dei quali l’affidamento può ritenersi ammissibile.
Le condizioni necessarie affinché si possa derogare alla gara pubblica, secondo il tradizionale insegnamento della sentenza del 18 nov. 1999 della corte di Giustizia, c.d. “Sentenza Teckal” sono:
i) l’esercizio da parte dell’ente committente, sul soggetto affidatario, di un “controllo analogo” a quello che esercita sui propri servizi;
ii) la necessità che il soggetto affidatario realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente committente (o gli enti se son più di uno) che la controlla.
Con tale pronuncia la Corte di Giustizia, non solo ha delineato i limiti del ricorso all’affidamento in questione, ma ha implicitamente fornito la soluzione normativa dell’istituto de quo.
Con riferimento, infatti, all’affidamento e alla gestione dei servizi pubblici locali aventi rilevanza economica[2], l’art. 113 (“Gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”) del D. lgs. n. 267/200 (Testo Unico degli Enti Locali), come da ultimo modificato dal D.L. n. 269/2003, prevede al comma 5 che la titolarità del servizio sia attribuita - oltre che società di capitali scelte attraverso gare ad evidenza pubblica ed attraverso società miste il cui socio privato sia scelto con gara – anche a “società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano”.

3. Il secondo criterio non ha destato particolari problemi né in giurisprudenza, né tantomeno in dottrina. La ratio si coglie agevolmente se si considera come le regole della concorrenza risulterebbero violate nel caso di affidamento diretto di un pubblico servizio ad un’impresa che opera a tutti gli effetti sul mercato, posto che tale impresa verrebbe favorita rispetto alle altre imprese che vi operano senza godere di affidamenti diretti, alterando la par condicio tra imprese concorrenti. Non è, invece, così quando si tratta di organismi che non stanno sul mercato o che vi stanno in posizione del tutto trascurabile, quali, appunto, sono quelli che operano esclusivamente o quasi esclusivamente a favore degli enti pubblici che li controllano.
Tali premesse suggeriscono che il requisito della prevalenza dell’attività deve essere valutato sotto il profilo quantitativo piuttosto che qualitativo e quindi deve essere parametrato al fatturato realizzato. La prevalenza dell’attività deve essere significativa, in quanto non è una minima prevalenza che può indurre a far ritenere che la società opera quasi esclusivamente con l’ente (o gli enti) che la controlla. La legge, inoltre, non indica la misura della prevalenza dell’attività per cui spetta all’interprete individuarla tenendo presente la ratio della norma e facendo riferimento, ove possibile, a disposizioni che regolano casi analoghi[3].
Notevoli difficoltà ermeneutiche si legano, al contrario, al contenuto semantico dell’espressione “controllo analogo”.
A tale proposito la Corte di Giustizia aveva avvertito già nella sentenza Teckal, che deve trattarsi di “un rapporto che determina da parte dell’amministrazione controllante un assoluto potere di direzione coordinamento e supervisione…..che riguarda l’insieme dei più importanti atti di gestione”. Tale conclusione è stata ribadita anche nella sentenza 11 gennaio 2005, nella causa n. c- 26/03 (c.d. Stadt Halle) nonché, nella sentenza n. I, 13 ottobre 2005, nella causa n. c-458/03, (c.d. Parking Brixen). L’orientamento della Corte è stato fatto proprio, in termini altrettanto rigorosi, dalla giurisprudenza nazionale.
In particolare è stato affermato che affinché vi sia controllo analogo, si deve verificare in concreto se si realizzi “una sorta di amministrazione indiretta nella gestione del servizio, che resta saldamente nelle mani dell’ente concedente, attraverso un controllo assoluto sull’attività della società affidataria la quale è istituzionalmente destinata in modo assorbente a operazioni in favore di questo(…) .La struttura organizzativa deve, quindi, essere tale da consentire all’ente pubblico di esercitare la più totale ingerenza e controllo sulla gestione, nonché, sull’andamento economico-finanzario, analogamente a quanto avrebbe potuto fare con un servizio gestito direttamente” (ex multis: C.d.S. sez. IV, 25 gennaio 2005 n. 168 e Tar Campania, sez. I, n. 2784/2005). Il soggetto gestore deve quindi atteggiarsi ad una sorta di “longa manus” dell’amministrazione affidante, pur conservando natura distinta e autonoma rispetto all’apparato organizzativo di questa.
Anche il Consiglio di Stato con l’ordinanza n. 2316 del 22.4.04, aveva osservato come “l’amministrazione deve esercitare sulla società un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato, che non possiede alcuna autonomia decisionale in relazione ai più importanti atti di gestione e che in concreto costituisce parte della stessa amministrazione, con la quale viene a trovarsi in una condizione di dipendenza finanziaria e organizzativa”.
L’affidamento in house determina, quindi, il concretizzarsi di un rapporto tra società e l’amministrazione non riconducibile ad un rapporto contrattuale tra due soggetti autonomi e distinti, bensì ad un’ipotesi di “delegazione interorganica” rendendo manifesta l’incompatibilità di tale concetto con qualunque forma di negoziazione sugli obiettivi strategici, come pure sulle singole decisioni relative alla conduzione dell’impresa.
Passando all’analisi degli strumenti e degli elementi sintomatici del controllo analogo enucleati dalla giurisprudenza e dalla dottrina comunitaria e nazionale vale la pena puntualizzare come ai fini del menzionato “potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione”, “non è sufficiente il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole proprie del diritto societario”. A tal proposito la Circolare del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio del 6 dicembre 2004 (Affidamento in House del servizio idrico integrato) recita che “è obbligatorio che l’atto costitutivo e lo statuto prevedano che la società sia dotata di un’autonomia finanziaria e decisionale limitata e preventivamente circoscritta. In particolare le determinazioni concernenti l’amministrazione straordinaria e quelle di determinante rilievo per l’attività sociale, quali il bilancio, la relazione programmatica, l’organigramma , il piano degli investimenti, il piano di sviluppo ed equivalenti, dovranno essere approvati dagli enti partecipanti alla società. Gli amministratori e il Direttore della s.p.a. saranno nominati direttamente dagli enti locali proprietari”.
Al contrario, si riscontra un controllo analogo nel caso di affidamenti diretti a società ove vi siano previsioni statutarie in forza delle quali l’impresa può rendere servizi solo all’ente affidante e sia regolata da rigorosi atti di affidamento, ordini e/o contratti di servizio che prevedono forme di controllo sulla qualità dei servizi, fissano in modo chiaro i sistemi tariffari e le modalità di indennizzo a fine affidamento, i piani di investimento ed i loro ammortamenti e tutto ciò che ritiene opportuno disciplinare e regolare direttamente.
Nella recentissima sentenza 12 dicembre 2005 n. 986, il Tar Friuli ha addirittura proceduto ad un’elencazione (seppur non tassativa) di alcuni possibili elementi indicatori del “controllo analogo”:
- consultazioni tra gli enti associati circa la gestione dei servizi pubblici svolti dalla società, circa il suo andamento generale e, soprattutto circa le concrete scelte operative: con audizione da disporsi con frequenza ragionevole, del Presidente e del Direttore generale della società;
- modifiche dello statuto della società, previo invio ai singoli enti per gli adempimenti di competenza;
- consenso degli enti associati all’eventuale esercizio di attività particolari;
- ispezioni dirette da parte dei soci;
- controllo mediante una Commissione, dello stato di attuazione degli obiettivi, anche sotto il profilo dell’efficacia, dell’efficienza ed economicità della gestione, con successiva relazione all’assemblea degli azionisti.
In conclusione, il controllo analogo a quello esercitato sui servizi dell’ente affidante deve, quindi, essere configurato in termini diversi e più intensi rispetto ai consueti controlli societari, quale attività di controllo forte che si traduce in un potere assoluto di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività riferita a tutti gli atti di gestione ordinaria e agli aspetti che l’ente concedente ritiene opportuni di quella ordinaria.
Un’autorevole dottrina[4] ascrive questo tipo di controllo al novero dei controlli di diritto amministrativo, ben diversi da quelli di tipo civilistico o societario. Tale posizione, fedele alla ratio delle ultime rigorose pronunce del giudice comunitario e nazionale (da ultimo: C.d.S. sez. V, 13 dicembre 2005, n. 7058 e Tar Lombardia, Brescia, 5 dicembre 2005, n. 1250), implica che la pubblica amministrazione nella logica di tali e più incisivi controlli può ingerirsi nelle singole modalità operative e di gestione anche di dettaglio.
In buona sostanza, l’affidamento in house deve essere fatto a favore di un’entità giuridica legata all’ente aggiudicatore da particolari vincoli di carattere funzionale, organizzativi ed economici tali per cui può affermarsi che manca la necessaria terzietà dei “contraenti” .

[1] In base a tale principio l’appartenenza all’Unione Europea non condiziona gli Stati membri nell’esercizio delle opzioni di rilievo costituzionale o istituzionale, come la scelta tra centralismo e decentramento, rispetto alle quali l’U.E. deve rimanere assolutamente neutrale.
[2] Nei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica l’ordinamento interno conosce da tempo forme di gestione in house: tali sono le gestioni c.d. in economia e quelle a mezzo di aziende speciali comunali, provinciali e consortili.
[3] A tal fine si possono richiamare l’art. 13 della Dir. 93/38/CEE e l’art. 8 del d. lgs 158/1995 i quali consentono nei c.d. settori esclusi o speciali che le pubbliche amministrazioni affidino direttamente appalti (di servizi, lavori o forniture) ad un’impresa collegata purché almeno l’80% del fatturato dell’ultimo triennio provenga dallo svolgimento di servizi o di lavori o dalla fornitura di prodotti all’amministrazione cui è collegata. “La ragione che giustifica l’affidamento diretto di un appalto ad una società collegata è, invero, la medesima che giustifica l’affidamento diretto di un pubblico servizio ad una società in house, in quanto, in entrambi i casi, l’avvalersi di società collegate o controllate rappresenta una scelta auto-organizzativa della pubblica amministrazione, la quale evita, in tal modo, di rivolgersi al mercato. Il parametro dell’80% del fatturato realizzato dalla società in house per la gestione dei servizi pubblici ad essa affidati dall’amministrazione che la controlla può, quindi, considerarsi un valido criterio dal quale può ragionevolmente desumersi quando il requisito della prevalenza dell’attività sia da ritenere soddisfatto”. (Così: C. TESSAROLO “La gestione in house dei servizi pubblici” in Diritto dei servizi pubblici, articolo del 24-02-05)
[4] C. De Rose ( “L’affidamento della gestione e dell’erogazione di servizi pubblici a società di capitali, tra equilibri comunitari e nazionali” in Cons. Stato, 2005, 1408).
* Nicola FERRANTE: amministrativista in Milano.

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