giovedì, agosto 17, 2006

La struttura contrattuale della finanza di progetto nelle considerazioni della dottrina italiana.

di Nicola Ferrante*

1. Premessa; 2. La struttura contrattuale nelle considerazioni della dottrina: A) Il project financing come mutuo di scopo. B) Il project financing quale collegamento negoziale. C) Il project financing quale operazione unitaria; 3. La libertà contrattuale e la legge applicabile alle operazioni; 4. I nessi relazionali tra i contratti che compongono l’operazione; 5. La stabilità delle relazionali contrattuali.

1. Premessa
I contratti costituiscono la materia su cui poggia la vicenda progettuale, consentendo il trasferimento dalla realtà economico-finanziaria a quella giuridica, dell’assetto di fondo dei rischi e degli interessi condivisi, in tutto o in parte, dai vari attori che intervengono a vario titolo nell’operazione. Lo studio giuridico delle forme contrattuali da utilizzare per l’esecuzione del progetto rappresenta, quindi, una fase molto delicata in cui vengono delineate e formalizzate le convenzioni e gli accordi.
La spina dorsale della finanza di progetto è, infatti, costituita dal Contratto di finanziamento (term sheet), dal contratto di società costitutivo della project company e dal contratto di concessione e gestione. Attorno a tali contratti gravitano particelle contrattuali diverse[1], variamente legate l’una all’altra, in ragione della necessità di garantire stabilità e coesione ai rapporti contrattuali attraverso cui si regolamentano i rischi connessi alle vicende dell’unitaria operazione economica.
Si può quindi affermare che la documentazione complessiva dei contratti rappresenta la struttura di riferimento di tutta l’operazione e non un mero contenitore vuoto; ogni struttura contrattuale presenta, tuttavia, caratteri propri e peculiari in relazione al contesto normativo, ai termini propri dell’accordo, alla tipologia del progetto e alla natura dei soggetti partecipanti.

2. La struttura contrattuale nelle considerazioni della Dottrina
I primi autori che si sono occupati del project financing hanno correttamente evidenziato l’esistenza di una ragnatela contrattuale su cui si erge il progetto, risolvendo il fenomeno in termini giuridici, vuoi nella categoria del mutuo di scopo, vuoi nella categoria di origine giurisprudenziale, della fattispecie negoziale unitaria (ad esempio, V. Lolipato, il quale sostiene che la finanza di progetto sarebbe riconducibile ad una fattispecie negoziale atipica con causa complessa), vuoi, infine, nella considerazione dei singoli contratti stipulati quali frazioni dell’intento unitario, individuabile nella sua interezza solo a seguito di una valutazione globale dei negozi stessi, l’uno in relazione all’altro, giacché se plurimi sono i negozi e le cause che li giustificano, unico è l’affare, vale a dire l’operazione economica divisata dalle parti. Alcuni autori, ancora, riconducono la fattispecie al collegamento volontario, vale a dire frutto dell’iniziativa negoziale delle parti che definiscono le regole (ad esempio C. Paglietti e L. Costantini).

A) Il project financing come mutuo di scopo
Nella dottrina italiana, un’impostazione non trascurabile qualifica il project financing, come mero modo alternativo di finanza d’impresa, per cui l’operazione si sostanzia in un contratto di finanziamento, il quale, a sua volta, non è altro che un mutuo di scopo.
Nel mutuo di scopo a differenza dello schema tipico del contratto ex art. 1813 del codice civile, il sovvenuto non si obbliga solo a restituire la somma mutuata e a corrispondere gli interessi, ma anche a realizzare lo scopo previsto compiendo gli atti e svolgendo l’attività programmata. In sostanza il contratto di mutuo di scopo presenta la peculiarità di subordinare la concessione della somma di denaro o di altre cose fungibili al mutuatario esclusivamente per raggiungere una determinata finalità, espressamente inserita nel sinallagma contrattuale. Il venir meno o l’esaurimento di detta finalità determinano l’insorgere dell’obbligo di restituzione del mutuatario.
Da ciò derivano importanti conseguenze.
In primo luogo, il finanziamento può essere utilizzato solo per lo scopo espresso nel contratto; qualunque utilizzo non conforme determina la decadenza dal beneficio del termine (art. 1186 del Codice civile).
In secondo luogo, per facilitare e garantire l’adempimento dell’obbligo di destinazione delle cose mutuate, può aversi l’ingerenza del mutuante nel modo di amministrare la somma mutuata da parte del mutuatario, qualora le parti lo abbiano espressamente previsto in contratto. Inoltre, il contratto non è soggetto ad esecuzione in forma specifica.
Al riguardo, sono significative le varianti rispetto alla disciplina del project financing nell’esperienza inglese o americana. I meccanismi propri del diritto italiano sembrano rafforzare la posizione dei finanziatori, i quali godono di un forte potere all’interno del contratto, che rende al contrario più debole la posizione della società di progetto. Negli ordinamenti anglosassoni, invece, prevale l’espressa pattuizione delle parti, che possono regolare in modo particolareggiato la facoltà d’ingerenza dei finanziatori nella gestione della società di progetto, dopo l’erogazione del finanziamento. Sul tema è intervenuta anche la Suprema Corte, stabilendo che: “risolto il contratto sottostante in funzione del quale era stato concluso il mutuo, il mutuatane è legittimato a richiedere la restituzione della somma mutuata non al mutuatario, ma direttamente al beneficiario in via definitiva della somma originariamente data a mutuo” (Cass. civ. 20 gennaio 1994, n. 474).
Volendosi applicare la decisione della Suprema Corte al rapporto che si instaura fra il contratto di finanziamento, concluso tra la società di progetto ed i finanziatori, e l’appalto per la realizzazione dello stabilimento, concluso tra la società di progetto e l’appaltatore, il quale rappresenta il beneficiario effettivo della somma presa a mutuo dalla società di progetto, il possibile risultato consiste nell’aggiunta di un’ulteriore garanzia indiretta a favore dei finanziatori, e nell’assunzione di un ulteriore rischio a carico dell’appaltatore.

B) Il project financing quale collegamento negoziale
Secondo altri interpreti (ad esempio, V. Donatini), il project financing sarebbe costituito, invece, da contratti funzionalmente collegati in modo unilaterale al contratto di finanziamento.
In quest’ottica, nel nostro ordinamento il project financing si configura come una tecnica del finanziamento non sussumibile in una categoria contrattuale tipica, ma come la sommatoria di diversi contratti interdipendenti, ragion per cui l’eventuale risoluzione del contratto di finanziamento legittimerebbe anche la risoluzione degli altri contratti, così come potrebbe avvenire nel caso di una sua eventuale impossibilità d’esecuzione[2].
In questa prospettiva, si ritiene che il project financing non richieda tanto una disciplina ad hoc, quanto la valorizzazione del collegamento negoziale che si genera tra i rapporti contrattuali che, a diverso livello ed in varie fasi, si concentrano intorno all’operazione di finanziamento. Ad essi si applicherebbe pertanto l’art 1419 c.c. sulla nullità parziale, per cui nel caso di contratti collegati, la nullità di uno dei contratti del progetto potrebbe determinare la nullità di tutti gli altri, qualora risultasse che senza il contratto nullo le diverse parti non avrebbero concluso gli altri contratti.
A differenza dell’orientamento che equipara il project financing al mutuo di scopo, in questo caso, sono i finanziatori ad essere penalizzati in quanto essi assumono il cosiddetto “rischio ulteriore”, soprattutto alla luce dell’interesse mostrato dagli stessi a conservare in vita il progetto anche qualora la società di progetto si renda inadempiente al contratto di finanziamento. In questo caso, essi si espongono al rischio che la società di progetto tenti di approfittare di questa situazione, strumentalizzando il pericolo di caducazione dell’intera operazione.
A fronte di una simile interpretazione, appare allora di minor impatto l’adozione, da parte dei finanziatori, di clausole di garanzia indiretta, volte a prevedere la cessazione agli stessi finanziatori, dei vari contratti di progetto al verificarsi di determinati eventi, come assumere il controllo della società di progetto in tempi rapidi (ad esempio mediante la concessione, da parte degli sponsor, di pegni sulle azioni della società di progetto da essi possedute, con riserva di diritto do voto a favore dei finanziatori, creditori pignoratizi) per evitare la messa in atto di accorgimenti difensivi da parte della stessa o dei suoi azionisti, quali la risoluzione dei contratti più onerosi o la messa in liquidazione della società.
C) Il project financing quale operazione unitaria
I moderni contributi dottrinali e giurisprudenziali hanno evidenziato come, in alcuni casi, l’unitarietà della funzione che caratterizza speciali ipotesi di collegamento consente di individuare una fattispecie ulteriore e diversa rispetto a quella degli atti del project financing considerati “uti singuli”. A partire dall’ultimo decennio la giurisprudenza ha sentito la necessità di operare una valutazione in senso unitario dell’operazione vista nella sua complessità, per valutare se da questa potesse emergere un intento primario ulteriore, rispetto a quello risultante dai singoli contratti. La fattispecie ulteriore, rinvenuta dalla giurisprudenza, costituisce un valore aggiunto, tale da produrre un rapporto giuridico con ulteriori diritti e doveri delle parti.
Pertanto, sul piano giuridico formale, accanto alla valutazione del singolo atto, si pone anche l’esigenza di una valutazione globale dell’operazione in relazione alla quale i diversi elementi del progetto vengono in rilievo come componenti di un medesimo programma negoziale. Trattasi di un atto unitario, frutto della comunità d’interessi delle parti coinvolte, allo scopo di suddividere i rischi derivanti dalla realizzazione del project financing, e di consentire al progetto di generare un cash flow tale da rimborsare il finanziamento ottenuto.
Senza la funzione fondamentale comune, i caratteri del progetto non sarebbero stati creati con quel particolare contenuto, ed alcuni di essi (così come un buon numero di attori), non sarebbero stati presenti. La configurazione proposta non ha valenza e non incide solamente da un punto di vista squisitamente tecnico, ma è anche produttiva di significative conseguenze sul piano operativo. Ad esempio, si può ipotizzare che in caso di mancato ottenimento del finanziamento, con conseguente irrealizzabilità dell’operazione, le parti dei vari contratti del progetto potrebbero chiederne la risoluzione per un difetto di funzionamento sopravvenuto nel meccanismo causale. Sia l’appaltatore che il fornitore del combustibile potrebbero, ad esempio, eccepire di aver deciso di contrattare con la SPV proprio in quanto a conoscenza della particolare struttura contrattuale prevista per il finanziamento, avendo fatto su di essa, e sulla sua eventuale stabilità, specifico affidamento
A fronte di una simile interpretazione, tutti i soggetti partecipanti all’operazione devono qualificarsi rispetto agli effetti propri di questa, come parti della stessa, e non come parti rispetto ad alcuni contratti e terzi rispetto ad altri.
In tali prospettive ricostruttive alcuni autori (ad esempio S. Rondelli), hanno sottolineato come in tali operazioni si verifichi un ridimensionamento del principio di intangibilità (o relatività contrattuale) delle sfere giuridiche patrimoniali dei soggetti che non hanno formalmente partecipato alla stipulazione del singolo contratto, sul presupposto che, data l’unitaria struttura negoziale, dal punto di vista teleologico oltre che funzionale dell’operazione economico-giuridica considerata nel suo complesso, ciascun partecipante a quella operazione non può essere giudicato come “terzo” rispetto al singolo tassello negoziale di cui non è parte in senso formale, proprio a motivo del fatto che è comunque parte in senso sostanziale.
Per concludere l’analisi, si può dire che nel corso dell’ultimo decennio vi sia stata una brusca inversione di tendenza circa la definizione degli oggetti di attenzione del diritto privato e di analisi del civilista e più in generale del giurista; il focus è, infatti, non più (o almeno non solamente) sull’atto, ma anche sull’attività[3]. Il mutamento di prospettiva si deve all’attuale contesto storico che registra nella realtà dei traffici una diffusione di operazioni economiche sempre più complesse ed articolate, non più soddisfacentemente incanalabili dagli angusti limiti di tipo contrattuale.
L’interprete dovrà, così, condurre la propria analisi sul risultato che l’esercizio del potere di autonomia privata in concreto determina, evitando di arrestarsi alla valutazione del singolo frammento negoziale in cui l’esercizio di quel potere si è espresso parzialmente, dovendo, al contrario, prediligere una lettura dei singoli contratti gli uni per mezzo degli altri, nella ricerca del senso che risulta dal complesso dell’attività negoziale esplicata in quel contesto dai privati.
In questo sta il potere di direzione degli effetti dei negozi da parte dei privati, potere che trova espressione e riconoscimento, a detta di commentatori autorevoli (ad esempio A. Tullio), nel secondo comma dell’art. 1322 codice civile, il quale attribuisce non solo il diritto di concludere contratti non tipizzati dall’ordinamento, ma anche relazionare, combinare e collegare contratti tipici ed atipici al fine di perseguire, nella pluralità e nell’autonomia strutturale, un più vasto programma unitario.
Tale programma, tuttavia, dovrà pur sempre superare il vaglio del giudizio di meritevolezza. Tali contratti devono essere orientati alla soddisfazione di interessi il cui valore è riconosciuto dallo Stato, il quale quindi ne assicura la tutela.
Altro elemento caratterizzante del sistema in oggetto è costituito dalla personalizzazione del contratto; ogni progetto presenta, infatti, connotati che lo rendono unico. Tale peculiarità determina, di riflesso, numerose difficoltà in merito all’individuazione regole standard valide per qualsiasi circostanza. Il project financing, come detto, non rientra nella categoria dei contratti tipici e la sua applicazione si basa sull’impiego congiunto di una serie di contratti previsti a livello normativo locale e comunitario.
Contestualmente, alla base della riuscita di un‘operazione di project financing, vi è la necessità di creare un sistema di ripartizione dei rischi tra i partecipanti che risulti, allo stesso tempo funzionale all’operazione, correlato al progetto e proporzionato rispetto ai rischi sostenuti dai singoli partecipanti. La fase contrattuale è, infatti, preceduta da un’attenta analisi di carattere economico-finanziaria, al fine di stabilire concretamente i rischi insiti nel progetto e le conseguenti coperture degli stessi.
La finanza di progetto deve, dunque, essere visitata ed indagata come accorto dosaggio di relazioni contrattuali intercorse tra soggetti diversi, finalizzate all’allocazione di rischi connessi all’esercizio di un’attività imprenditoriale, valutando in concreto quali siano le relazioni e gli effetti che l’un contratto può comportare sugli altri contratti del progetto, nella già ricordata logica di un’operazione di lunga durata preordinata a garantire stabilità alle relazioni intercorse.

3. La libertà contrattuale e la legge applicabile alle operazioni
La predisposizione di contratti acquisisce infine ulteriori elementi di complessità, se si considera che nelle operazioni di project financing vengono sovente coinvolti soggetti appartenenti a diversi ordinamenti giurisdizionali, con esperienze e cultura giuridica molto eterogenee. Per quanto riguarda le operazioni all’estero, pertanto, la partnership con soggetti appartenenti al Paese in cui viene realizzata l’opera, è una condizione necessaria per ridurre il rischio-Paese, rischio che assume più o meno peso a seconda del contesto socio-politico-geografico in cui è localizzato il progetto.
In questo caso sorgono ulteriori problemi in rapporto alla legge applicabile, inducendo le parti a predeterminare, nella misura in cui questo sia possibile, quale debba essere l’ordinamento più indicato da applicare ad ogni singolo rapporto, garantendo in questo modo la produzione di effetti il più possibile aderenti alle finalità proprie dell’intera operazione di project financing.
Il principio quasi universalmente accolto, dell’autonomia dei contraenti nella determinazione della legge applicabile al rapporto (in Italia l’art. 57 della Legge n. 218/95), consente alle parti di ciascun contratto accedente ad un’operazione di project financing di scegliere l’ordinamento meglio idoneo a disciplinare i rapporti. La dottrina internazional-privatistica ha lungamente discusso sulla portata dell’autonomia attribuibile alle parti, oscillando tra due tesi opposte.
Secondo la prima, le parti di un contratto internazionale godrebbero di un’amplissima autonomia, tanto da far ritenere che il contratto dotato di elementi di internazionalità sia in grado di reggersi unicamente sulla stessa volontà dei contraenti; la seconda, sostiene, invece, che l’autonomia delle parti nella scelta della legge applicabile al rapporto, sarebbe limitata al solo ambito delle norme di natura dispositiva dettate da un dato ordinamento, autoritativamente prescelto sulla base di un momento di collegamento obiettivo prefissato ex lege.
A prescindere da quale sia l’esatta interpretazione della norma in esame, è necessario considerare come l’autonomia delle parti possa difficilmente esplicarsi in maniera assoluta. Quest’ultima trova alcuni limiti invalicabili negli aspetti del rapporto non riconducibili alla fonte contrattuale, come ad esempio, le norme di conflitto della lex fori che individuano un diverso ordinamento e nell’applicabilità al rapporto negoziale delle disposizioni di applicazione necessaria, dettate da un ordinamento statuale diverso da quello prescelto e che riveli uno stretto legame con la fattispecie.
In ordine alla legge applicabile, nella prassi internazionale è riconosciuta la cosiddetta tecnica di dépecage, che scinde il rapporto contrattuale in tanti singoli aspetti, ognuno dei quali può essere disciplinato da un diverso corpus normativo a seconda del momento di collegamento in ciascun rinvenibile con la lex fori; tutto ciò senza trascurare il generale limite dell’inoperatività di singole norme dell’ordinamento prescelto, laddove queste siano contrarie ai principi dell’ordinamento pubblico internazionale sancito dalla lex fori.
Alcuni ordinamenti riconoscono inoltre alle parti la facoltà di predisporre un issue-by-issue approach convenzionale, mediante la scomposizione del loro rapporto in tanti singoli aspetti, ad ognuno dei quali sia attribuita una diversa legge regolatrice; è questa la tecnica del métissage. Tale tecnica può risultare utile ove le norme di conflitto della lex fori non facciano riferimento alla legge del luogo di residenza di un istituto presente nella fattispecie e sconosciuto alla giurisdizione competente. Si pensi, ad esempio, ad un accordo di finanziamento garantito da un bene o da un diritto gestito da un trustee intermediario tra banca e prenditore residente in una giurisdizione differente da quella dell’ordinamento reggente l’intero negozio di finanziamento.

4. I nessi relazionali tra i contratti che compongono l’operazione
Ogni operazione di project financing si caratterizza per l’esistenza di una fitta trama di relazioni contrattuali finalizzata alla realizzazione dell’opera. I vari contratti, come più volte detto, sono variamente connessi e interdipendenti.
Il rapporto di interdipendenza più puro si realizza tra il contratto di finanziamento e quello di concessione di costruzione e gestione. Tale nesso relazionale è stato evidenziati anche dal legislatore, laddove attribuisce ai finanziatori della società di progetto e, dunque alle parti del contratto di finanziamento, un vincolo di destinazione in loro favore sui crediti spettanti alla società di progetto concessionaria, per effetto della risoluzione del contratto di concessione di costruzione e gestione per inadempimento dell’ente concedente, o per effetto della revoca della concessione per motivi di pubblico interesse.
Ancora, l’esistenza di un nesso relazionale tra il contratto di concessione di costruzione e gestione e il contratto di finanziamento del progetto, emerge dalla disposizione legislativa che attribuisce ai finanziatori, terzi rispetto al contratto di concessione (ma parti dell’intera operazione economica), il diritto di designare una nuova società di progetto che subentri all’originario concessionario inadempiente, previa accettazione della designazione da parte dell’ente concedente e sanatoria del pregresso inadempimento. Altri nessi sussistono tra:
- il contratto di concessione di costruzione e gestione e il contratto di appalto concluso dalla SPV per l’esecuzione dell’opera;
- il contratto di appalto e il contratto di finanziamento, avendo interesse i finanziatori a governare i rischi connessi all’esecuzione dell’opera e quindi alla fase più delicata, almeno sotto il profilo finanziario, dell’intera vicenda progettuale, giacché in questa fase riconcentrano solo flussi di cassa negativi;
- il contratto di appalto e le garanzie di buona ed esatta esecuzione dell’opera prestate dagli appaltatori;
- il contratto di finanziamento e le cosiddette indirect guarantees (contratti take or pay, put or pay e le loro varianti);
- il contratto di finanziamento e i contratti d’assicurazione con i quali si coprono i rischi connessi al progetto;
- il contratto di concessione di costruzione e gestione e i contratti di fornitura e somministrazione conclusi dalla SPV, essendo evidente che con la risoluzione del primo non ha senso la prosecuzione dei secondi per la SPV. La prosecuzione dei secondi potrebbe invece interessare gli enti finanziatori, i quali nell’ottica di scongiurare la risoluzione del contratto di concessione di costruzione e gestione ai sensi dell’art. 37-octies della legge Merloni o comunque, facendo valere i loro diritti di step in potrebbero essere intenzionati a garantire la prosecuzione della somministrazione o della fornitura in capo alla nuova società subentrata nella concessione.

5. La stabilità delle relazionali contrattuali
La trama relazionale esistente tra i diversi contratti di un’operazione di finanza di progetto, non sempre si esaurisce nella sola prospettiva negoziale, adottata dalla dottrina maggioritaria, tale non potendosi considerare, ed esempio, il nesso negoziale esistente tra il contratto di concessione e gestione e il contratto di finanziamento relativamente al diritto di subentro (art. 37-octies della Legge quadro sui Lavori pubblici) ed al vincolo di destinazione dei crediti derivanti da risoluzione trattandosi in entrambi i casi di nessi posti direttamente dalla legge (art. 37-nonies della Legge quadro sui Lavori pubblici).
Si può quindi discorrere in termini di collegamento necessario, essendo, in tali circostanze irrilevante la volontà delle parti.
In questi casi il problema degli effetti di tale nesso viene risolto direttamente dal legislatore[4].
Tuttavia quanto detto non vale a marginalizzare l’importanza che la permanenza e la durata del contratto di concessione assume nei confronti del contratto di finanziamento, il primo costituendo presupposto del secondo, il quale pure si modella sulla base del piano economico-finanziario che costituisce parte integrante del contenuto del contratto di concessione stesso.
Ad ogni modo, il mosaico contrattuale della finanza di progetto, caratterizzato da una pluralità di interconnessioni negoziali di diversa intensità e tra diverse parti, deve essere interpretato nella ricerca dell’esistenza di un comune risultato o di un’identica filosofia. In tale logica, si comprende perché nella strutturazione delle operazioni più complesse, assumono un ruolo primari i cd. “direct agreement”. Attraverso tali contratti, che vengono direttamente sottoscritti fra i finanziatori e le principali controparti dei contratti conclusi per il progetto dalla SPV, i finanziatori[5] si riservano il diritto di interferire direttamente nei rapporti contrattuali tra la società di progetto e i terzi, controparti contrattuali della società stessa.
I contratti sopraccitati assolvono due funzioni: da un lato, garantiscono la salvaguardia dei contratti di progetto; dall’altro, generano un diritto dei finanziatori a sostituirsi alla società di progetto in caso di suo inadempimento. La sintesi di queste funzioni è rappresentata dalla stabilità che viene conferita al complesso dei contratti attraverso i quali si struttura l’operazione.
Nella prassi degli affari, inoltre, si registrano all’interno dei direct agreements, clausole in forza delle quali viene garantito il diritto dei finanziatori di avere diretta notizia delle situazioni che giustificherebbero la risoluzione del contratto, e di intervenire o far intervenire un terzo a sanare l’inadempimento verificatosi, in modo da evitare la risoluzione del contratto di riferimento. Allo stesso modo, nel contratto di finanziamento concluso con la società di progetto, è costantemente inserita una clausola con la quale si prevede che quest’ultima non provvederà a risolvere, annullare, recedere da alcun contratto relativo al progetto, né a richiedere o concordare modifiche ai singoli contratti, senza il preventivo consenso dei finanziatori.
Infine, le pattuizioni contenute nel contratto di finanziamento, individuano i “contratti per il progetto”, stabilendo che tali contratti, in cui è parte la società di progetto, debbano essere trasmessi in copia alla banca arranger, alla quale deve essere comunicato ogni inadempimento relativo a agli stessi, nonché, ogni informazione utile in merito alle insorte controversie.
Un’ultima considerazione sui direct agreements riguarda il loro rapporto con le posizioni della dottrina maggioritaria che considera il project financing quale collegamento negoziale. In rapporto al fenomeno del collegamento negoziale, sono state ritenute estranee, o comunque non degne di autonoma considerazione, le ipotesi nelle quali le parti abbiano espressamente disciplinato il modo di operare di un rapporto sull’altro, in tal caso risolvendosi la questione in un semplice problema d’interpretazione della clausola che opera il collegamento[6].
[1] Il riferimento è ai contratti di appalto, ai contratti di fornitura e di somministrazione, ai contratti di garanzia, ai contratti di assicurazione, ai contratti di copertura del rischio di cambio o fluttuazione d’interesse.
[2] In tal senso si è espressa anche l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici. Nell’atto di regolazione n. 34/2000, l’Autorità ha sottolineato come il project financing sia un fenomeno contrattuale globale, inteso come “mezzo per gestire e ripartire il rischio connesso al progetto fra i soggetti coinvolti nell’iniziativa”. L’istituto in questione non può essere letto in chiave atomistica, cioè come una sommatoria dei singoli atti che lo compongono ma, al contrario, va interpretato quale risultato del collegamento negoziale fra molteplici rapporti giuridici in cui gli interessi, gli obiettivi e le responsabilità rendono difficile qualificare come terzo rispetto alla complessiva operazione un soggetto parte di un singolo contratto che, però, risulta indubbiamente connesso al resto dei contratti sui quali si struttura l’operazione.
[3] Negli anni 60-70, così si esprimevano i più noti civilisti: A. Di Maio Giaquinto, L’esecuzione del contratto, Milano, 1967, pag. 35 affermava che “il diritto privato è per essenza sua propria normativa di singoli atti o comportamenti, ossia di singoli accadimenti individuali”. Allo stesso modo M.S. Giannini, Corso di diritto amministrativo-dispense, Milano, 1965 statuiva che “ in diritto privato l’accadimento su cui si appunta la rilevanza giuridica è, di regola, l’atto; l’attività l’ha se non in casi eccezionali, certamente speciali”.
[4] La dottrina che ha indagato il fenomeno del collegamento negoziale ha svalutato la rilevanza del collegamento necessario. Ad esempio, M. Giordani, Negozi giuridici collegati, 1937, pag. 275 e seguenti, ha qualificato come “improprio” il collegamento determinato dalla legge. Allo stesso modo, G. Ferrando, Recenti orientamenti in tema di collegamento negoziale, in Nuova giur. civ. comm. 1997, II, pagg. 256, rileva come, solo ove il collegamento sia frutto dell’autonomia privata dei contraenti, può porsi un “problema di apprezzamento delle conseguenze e degli effetti che il carattere unitario dell’operazione economica determina sui singoli contratti”, giacché ove il collegamento sia posto da una norma di legge, sarà quest’ultima a definire che un contratto si pone come presupposto di validità o efficacia dell’altro, limitandosi l’indagine ad un’interpretazione delle norme di legge. Ancora C. Scognamiglio, Interpretazione del contratto e interessi dei contraenti, cit., pag. 433, il quale rileva come un problema di autonoma rilevanza dell’attività dei privati che coordinano e collegano schemi contrattuali diversi per la realizzazione di una operazione economica complessa può porsi solamente laddove il collegamento sia volontario, vale a dire frutto dell’iniziativa negoziale degli autori della regola.
Una diversa interpretazione è seguita de G. Tamburino, I vincoli unilaterali nella formazione progressiva del contratto, seconda edizione, Milano, 1991, pag. 301-303, il quale critica la definizione di collegamento necessario, invalsa nella dottrina, per descrivere i casi di collegamento aventi fonte nella legge, giacché tale definizione evoca qualcosa di obbligatorio o necessario, mentre anche in tali ipotesi si rimarrebbe, secondo l’autore, pur sempre nel campo dell’autonomia privata, spettando alle parti scegliere lo strumento adatto al loro assetto di interessi. La differenza, pertanto, consisterebbe esclusivamente nel fatto che tale strumento risulterebbe già funzionalmente predisposto dall’ordinamento, laddove, nell’ipotesi di collegamento volontario vi provvedano le parti stesse, questo rientrando, così, nell’ampio fenomeno dell’atipicità.
[5] Tali contratti sono propriamente conclusi, non da tutti i singoli finanziatori, ma dalla banca o dalle banche arranger che agiscono in esecuzione del mandato ricevuto in nome e per conto di tutti i finanziatori.
[6] Ad esempio, negano che di collegamento in senso tecnico si possa parlare o sia utile discorrere allorché si sia in presenza di negozi espressamente condizionati: M. Giorgianni e F. Di Sabato.
Il primo in Negozi giuridici collegati, cit. pag. 333 e segg., afferma che di collegamento si debba parlare tra negozi e non tra rapporti giuridici. Il secondo, in Unità e pluralità di negozi, in Riv. dir. civ., 1959, I, pag. 428, afferma che: “occorre escludere dalla nozione generica di collegamento tutti quei casi in cui le parti abbiano espressamente disciplinato il modo di operare di un rapporto sull’altro, dal momento che in tali casi sarà solo questione di interpretazione della clausola che opera il collegamento: caso tipico è quello in cui le parti considerano una vicenda di un negozio come condizione per l’efficacia dell’altro”.
* Nicola FERRANTE lavora presso il dipartimento di Diritto Amministrativo dello Studio Camozzi & Bonissoni di Milano.

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